mercoledì 26 novembre 2008

Oltre, oltre la guerra: la prosperità del genere umano



L'ideale della pace mondiale sta assumendo una forma e una sostanza tali che nessuno avrebbe potuto immaginare dieci anni or sono. Ostacoli che per lungo tempo erano parsi inamovibili sono crollati sul cammino dell'umanità; conflitti apparentemente inconciliabili hanno incominciato a cedere a processi di consultazione e risoluzione; si sta facendo strada la volontà di contrastare le aggressioni militari con azioni internazionali unificate. L'effetto è stato di risvegliare nelle masse dell'umanità e in molti leader del mondo una speranza sul futuro del pianeta che si era quasi spenta. In tutto il mondo, enormi energie intellettuali e spirituali stanno cercando di farsi strada, energie la cui crescente pressione è direttamente proporzionale alle frustrazioni degli ultimi decenni. Dappertutto si moltiplicano segni che denotano che i popoli della terra vogliono mettere fine al conflitto, alla sofferenza e alla devastazione da cui ormai nessun paese è immune. Queste emergenti spinte verso il cambiamento devono essere colte e indirizzate verso il superamento delle ultime barriere che impediscono la realizzazione dell'antico sogno della pace globale. Lo sforzo di volontà che questo compito richiede non può essere evocato da semplici inviti ad agire contro gli innumerevoli malanni che affliggono la società. Dev'essere stimolato da una visione della prosperità umana nel vero senso della parola, da una presa di coscienza delle possibilità di benessere materiale e spirituale che sono ora a portata di mano. Ne devono beneficiare tutti gli abitanti del pianeta indistintamente, senza imposizioni di condizioni estranee alle mete fondamentali di tale riorganizzazione delle faccende umane. La storia ha finora documentato l'esperienza di tribù, culture, classi sociali e nazioni. Con l'unificazione materiale del pianeta verificatasi in questo secolo e con il riconoscimento dell'interdipendenza di tutti coloro che lo abitano, sta ora per incominciare la storia dell'umanità intesa come un solo popolo. Il lungo e lento incivilimento del carattere umano è stato uno sviluppo sporadico, ineguale e, come tutti ammettono, iniquo nei vantaggi materiali che ha conferito. E tuttavia, dotati di tutta la ricchezza della varietà genetica e culturale che si è sviluppata nel corso delle ere passate, gli abitanti della terra sono ora sfidati ad attingere al loro retaggio collettivo per assumersi, consapevolmente e sistematicamente, il compito di disegnare il proprio futuro. E` illusorio supporre di poter formulare la visione del prossimo stadio del progresso della civiltà senza un meticoloso riesame degli atteggiamenti e dei presupposti sui quali le concezioni dello sviluppo sociale ed economico attualmente si fondano. E` ovvio che tale ripensamento dovrà occuparsi di questioni pratiche di indirizzi politici, di utilizzazione delle risorse, di procedure di pianificazione, di metodologie applicative e di organizzazione. Ma ben presto emergeranno questioni fondamentali, relative alle mete a lungo termine da perseguire, alle strutture sociali necessarie, alle implicazioni di alcuni principi di giustizia sociale ai fini dello sviluppo e alla natura e al ruolo del sapere nel produrre cambiamenti permanenti. In verità, questo riesame sarà costretto a cercare un'ampio consenso sulla comprensione della stessa natura umana. Tutte queste questioni concettuali e pratiche possono essere discusse seguendo due indirizzi. E per l'appunto secondo questi due indirizzi esamineremo, nelle prossime pagine, il tema di una strategia per lo sviluppo globale. Il primo riguarda le prevalenti convinzioni sulla natura e sullo scopo del processo dello sviluppo, il secondo il ruolo in esso assegnato ai vari protagonisti. I presupposti che informano la maggior parte dell'attuale pianificazione dello sviluppo sono essenzialmente materialistici. Vale a dire, lo scopo dello sviluppo è definito in termini di proficua promozione in tutte le società di quei mezzi per il conseguimento del benessere materiale che, attraverso tentativi ed errori, sono giunti a caratterizzare alcune regioni del mondo. In verità qualcosa sta cambiando nel discorso sullo sviluppo, per venire incontro alle diversità delle culture e dei sistemi politici e in risposta agli allarmanti pericoli creati dal degrado ambientale. Ma i presupposti materialistici di base restano sostanzialmente incontestati. Al volgere del ventesimo secolo, non è più possibile credere ancora che le concezioni dello sviluppo sociale ed economico alle quali la visione materialistica della vita ha dato origine siano in grado di rispondere ai bisogni dell'umanità. Le ottimistiche previsioni sui cambiamenti che esse avrebbero dovuto produrre sono sfumate nel crescente abisso che separa il livello di vita di un'esigua minoranza, che va relativamente restringendosi, dalla povertà che affligge la stragrande maggioranza della popolazione mondiale. Questa crisi economica senza precedenti, assieme al dissesto sociale che ha contribuito a generare, rispecchia un grave errore concettuale sulla natura umana. Infatti il livello della risposta suscitata negli esseri umani dagli incentivi dell'ordine prevalente non solo sono insufficienti, ma sembrano quasi insignificanti di fronte agli eventi mondiali. Questo dimostra che, se lo sviluppo della società non troverà uno scopo che trascenda il puro e semplice miglioramento delle condizioni materiali, non si riuscirà a raggiungere neppure queste mete. Quello scopo dev'essere ricercato in dimensioni e motivazioni spirituali della vita che trascendono un panorama economico in continua trasformazione e la divisione artificialmente imposta delle società umane in «sviluppate» e «in via di sviluppo». Se lo scopo dello sviluppo viene ridefinito, diventa anche necessario riesaminare i presupposti del corretto ruolo dei protagonisti del processo. Il ruolo cruciale del governo, a tutti i livelli, non richiede elaborazione. Ma le future generazioni troveranno quasi incomprensibile il fatto che, in un'èra che rende omaggio a una filosofia egalitaria e ai relativi principi democratici, la pianificazione dello sviluppo possa considerare le masse dell'umanità essenzialmente come recipienti di benefici erogati dall'assistenza e dall'istruzione. Sebbene il concetto della partecipazione sia accettato in linea di principio, le possibilità di decisionalità lasciate alla maggior parte dei popoli del mondo sono nel migliore dei casi secondarie, limitate a una gamma di scelte formulate da organismi cui essi non hanno accesso e condizionate da mete spesso inconciliabili con la loro percezione della realtà............

Nessun commento: